Sempre più spesso i genitori si lamentano che i figli sono incontrollabili, non danno retta agli adulti, fanno quello che vogliono, se redarguiti rispondono male, se impediti di fare qualcosa si ribellano e tirano botte e calci. I problemi dilagano anche a scuola, e gli insegnanti non sanno più come gestire bambini che sembrano fuori controllo.
Nel momento in cui questi bambini vengono portati ad una visita specialistica ricevono spesso diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio, o di Disturbo di Attenzione e Iperattività, o anche di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo.
Come dico sempre quando lavoro con i gruppi di insegnanti, quando un alunno si comporta male a scuola ha sempre dei problemi. Non ci sono bambini cattivi, ma bambini che soffrono, perché non si sentono capiti. Sono bambini infelici per il proprio fallimento e sentono che le persone che li circondano sono irritate dal loro comportamento.
La rabbia nei bambini infatti cela, il più delle volte, una situazione di conflitto e di sofferenza psicologica. È spesso uno strumento che ha la funzione di comunicare ed esprimere dolore, impotenza, paura dell’abbandono. La rabbia è anche un importante tentativo di comunicazione e non va, pertanto, liquidato come fosse un capriccio.
Questi bambini mostrano difficoltà di inserimento nel gruppo e di adattamento agli ambienti, e si trovano sovente al limite della disperazione per motivi diversi. Essi hanno come unica arma di difesa l’opposizione al mondo degli adulti e la provocazione verso i coetanei. Hanno imparato ad agire all’esterno le reazioni alle frustrazioni e il disagio per le difficoltà emotive e di comunicazione, ma non hanno imparato a ‘contenere’ ed elaborare ai livelli della loro età, sia le proprie reazioni che le modalità di approccio e comunicazione con i coetanei. La scarica impulsiva sull’ambiente, e la trasformazione dei rapporti in scontri, di fronte alle prime difficoltà, è la loro modalità prevalente di difesa dal disagio psichico. Essa però attiva un circolo vizioso con l’ambiente che risponde con provvedimenti punitivi, quando non di allontanamento ed espulsione, che mantengono o aggravano la situazione.
E’ evidente come in questi casi gli interventi siano a volte molto complessi e debbano rivolgersi a più obiettivi e contesti: in particolare è indispensabile avviare sia un intervento familiare che un intervento sulla scuola e spesso un intervento individuale sul ragazzo stesso.
- L’intervento con la famiglia è rivolto a mettere a fuoco eventuali ostacoli o disfunzionalità.
- L’intervento sulla scuola è volto a aiutare gli insegnanti, di ruolo e di sostegno, a trovare i metodi più adatti di contenimento e risposta alle modalità oppositive e provocatorie del bambino, che permetta di concentrare le risorse su un obiettivo per volta, definendo le priorità rispetto a un progetto a lunga scadenza.
- Infine, ma non ultimo di importanza, l’intervento individuale col bambino, di tipo psicoterapico, che permetta di accogliere e riconoscere il suo disagio e lo aiuti a trovare altri mezzi per esprimerlo e comunicarlo, aiutandolo così anche a maturare funzioni mentali più evolute ed utili di controllo delle proprie emozioni, dei propri impulsi e delle modalità di rapportarsi con gli altri.
Se l’intervento è adeguato, se c’è sufficiente collaborazione di tutte le parti in causa, se sia famiglia che scuola ‘resistono’ senza cedere a tentazioni espulsive o a drammatizzazioni inutili, alla fine l’esito è positivo. Ma spesso occorre ‘resistere’ per qualche anno prima che le cose volgano al meglio.
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